Editoria gastronomica e Inclusione: neorazzismi

Un ricettario o un libro di cucina, non sono mai oggetti neutri, ma portatori di istanze particolari, specialmente quando chi li scrive è marginalizzato per questioni etniche,  di genere, di orientamento sessuale o perché disabile.

Avevo avuto modo di valutare la portata ideologica dei libri di cucina dedicati a tematiche così sensibili, specialmente se scritti da persone non appartenenti al contesto culturale descritto. A un primo impatto questi libri hanno un potere eccezionale; contengono foto bellissime, patinate e corredate da ricette accompagnate da più o meno lunghi ricordi o narrazioni che ci trasportano istantaneamente in quei paesi o nelle cucine degli autori. Ma un libro di cucina – dedicato a paesi in cui l’influsso occidentale passato o moderno ha creato e crea conflitti etnici o di inclusione– non è mai un oggetto neutro, ma alla peggio può diventare un surrogato della cattiva coscienza occidentale.

L’editoria dedicata al cibo, anglosassone e occidentale, è stata pesantemente criticata per la sua posizione “escludente” o marginalizzante nei confronti di donne e uomini diversi a vario titolo, attivando delle vere e proprie politiche di razzismo nei confronti di ogni tipo di diversità culturale, etnica, sessuale e fisica. Sono processi nascosti, ma che non sfuggono allo studio dei dati, che se ben analizzati e letti, ci regalano un panorama veramente scoraggiante in merito.

Ci sono vari modi in cui questo può avvenire sotto gli occhi di tutti, anche a scapito del lettore in buona fede. Oggi vi descrivo due esempi, che si portano dietro mondi da problematizzare e di cui penso tocca prendere coscienza; il primo è quello dei ricettari dedicati ai rifugiati, il secondo ci mostra la cornice di senso dei libri di cucina scritti da autori POC (People Of Color) o marginalizzati per genere, orientamento sessuale, disabilità . Insomma l’immagine di un’editoria enogastronomica che li taglia fuori, e vedremo come e perché.

I Ricettari dei profughi

Mi ha dato modo di riflettere a lungo l’articolo della storica e attivista palestinese N. A. Mansur, dedicato al cortocircuito innestato dal crescente mercato dedicato ai libri di cucina contenenti ricette di persone rifugiate. L’autrice si è detta stanca dei tanti luoghi comuni che questi libri stanno veicolando (specialmente dopo i conflitti innescati dalle varie primavere arabe): ovvero quello di persone sfortunate ma laboriose, che grazie al potere del cibo possiamo sentire vicine, se non aiutare.

La Mansur ci va dura: questi libri sono un ottimo punto di vista per valutare in che modo – e come – il pubblico occidentale considera i popoli di lingua araba. Per chiarire le modalità di come avvenga tutto questo prende in considerazione 3 libri recentemente pubblicati:

A tutti e 3 i libri la Mansur – in maniera diversa e circostanziata – contesta una stereotipizzazione della figura del “rifugiato”, ridotta a un puro e frettoloso pretesto per poter parlare di cibo, dal punto di vista privilegiato di chi non è mai appartenuto – o solo per breve tempo (tutti e 3 gli autori hanno origine araba) – a quel triste contesto. Gli autori non si soffermano mai troppo sulle storie di vita delle persone che vi sono immortalate, quanto sul senso di pietà che può scaturire da immagini di siriani in mezzo alle rovine, di bambini o donne sporchi e malamente vestiti. A volte, le foto delle ricette neppure compaiono, preferendo puntare sul sensazionalismo offerto dalle desolanti condizioni in cui queste persone vivono. Un esempio? Le foto, scattate dalla Massaad, sono sempre di donne, bambini o uomini anziani, mai di uomini più giovani perché al pubblico europeo, statunitense e canadese questi vengono presentati come pericolosi, mai empatici. Ecco perché quando vediamo uomini più giovani, sono presentati con molta attenzione, in modo da non mettere nessuno a disagio. Il pubblico ha la priorità su tutto.

Anche se parlano di Siria, Afghanistan e altri paesi, i testi non sostengono soluzioni specifiche ai problemi reali che causano lo sfollamento, mentre usano i rifugiati per vendere libri. I ritratti che ne risultano sono definiti dalla violenza ma stranamente apolitici, come a suggerire che i conflitti che raccontano indirettamente sono modi di vita perpetui, crisi senza origine e senza fine. Forse è per questo che la Mansur considera questi libri di frettolosi e turistici.

Con poche eccezioni, il cibo del mondo di lingua araba è in gran parte scritto da estranei a quelle comunità. Allo stesso modo, i libri di cucina sui rifugiati in generale riducono gli esseri umani al loro spostamento. La lussuosa carta dei libri, le descrizioni dettagliate e le immagini colorate sembrano esistere per massimizzare le condizioni orribili che queste persone sopportano e celebrarne la resilienza, come a dire che se qualcuno ha dovuto subire tali orrori, è fortunato a essere così forte. Con questi testi gli autori vogliono ottenere due cose: trarre autorità emotiva e morale dalla crisi, evitando al contempo di sporcarsi troppo le mani. Certo, alcuni autori propongo, alla fine del libro, raccolte fondi da devolvere a varie realtà (campi profughi, borse di studio, acquisto di vestiario e cibi ecc.), ma la Marsal ancora una volta ci va pesante; l’effetto non è necessariamente quello di sostenere i popoli sfollati del mondo, ma di confortare il lettore. Il lettore è reso benevolo attraverso il sostegno a questi rifugiati, dopotutto ha acquistato il libro.

Ecco perché credo, come l’autrice che i libri di cucina sono sempre politici, anche concettualmente. Cucinare richiede risorse, e le risorse non sono disponibili per tutti. Al di là del semplice fatto che i libri di cucina dei profughi entrano in politica quando è conveniente, il cibo ha paralleli nella politica sociale più ampia; riflette le interpretazioni tradizionali. Combattere la dittatura e l’oppressione politica all’inizio è romantico, ma la violenza che spesso segue il cambio di regime conferma la convinzione di vecchia data del pubblico occidentale che la gente laggiù sia violenta e sfortunata allo stesso tempo. Nel reportage e nella critica culturale, l’intento del giornalista e dello scrittore è di ritrarre questi popoli come perenni rifugiati ingovernabili però, accidenti, il loro cibo è buono!

L’eventuale soluzione che propone la Marsal non è proprio quella di entrare a far parte di questa piccola ma crescente libreria di titoli, ma espandere la scrittura sul cibo del mondo di lingua araba cercando di “educare” i media occidentali dedicati al food in generale. Certo, bisogna considerare la particolare conformazione dei social: si ha bisogno di follower per generare offerte di libri e annunci e le persone non bianche hanno meno probabilità di ottenerne. Quando lo fanno, sono meno redditizie perché il pubblico non bianco, in particolare quello del mondo di lingua araba, è considerato di nicchia. Il lavoro intellettuale di queste persone rischia così di risultare poco incisivo, ecco perché c’è bisogno di problematizzare la portata dei libri dedicati al cibo dei rifugiati all’interno dell’odierna critica culturale.

Editoria gastronomica e inclusione

Che l’editoria del settore sia un po’ viziata in tal senso – nei paesi occidentali e specialmente anglosassoni – è un problema sentito molto profondamente. Uno studio del 2019 ha sottolineato come il 76% dell’editoria sia in mano a persone bianche.

Perché rappresentare la diversità nell’editoria è importante? L’industria del libro ha il potere di plasmare la cultura in grandi e piccoli modi. Le persone dietro i libri fungono da guardiani, che possono fare un’enorme differenza nel determinare quali storie vengono amplificate e quali vengono escluse. Se le persone che lavorano nell’editoria non sono un gruppo eterogeneo, come possono davvero essere rappresentate voci diverse nei loro libri?

Un’altra attivista che fa sentire la sua voce in merito è la scrittrice di ricettari Julia Turshen. E’ lei ad aver fondato EATT (Equity At The Table) una portale/directory dedicato al tema dell’inclusione – di genere, etnia, orientamento sessuale e disabilità – dedicato all’industri alimentare).

La lotta degli scrittori POC (People Of Colour) e di quelli discriminati per altre motivazioni, nel narrare le loro storie nei libri di cucina, ha molto a che fare con l’aspetto esteriore del testo: non sono tanto le parole, ma come questo appare o si presenta a fare la differenza. Molto della creazione di un libro di cucina di successo ha a che fare con ricette e storie accattivanti e ispiranti, ma il supporto di un editore, una fotografia professionale, un design accattivante e l’aiuto di un team di marketing e pubblicità sono essenziali. In altre parole, non si tratta solo di chi può condividere le proprie storie, ma anche di chi prende quelle decisioni e di chi lavora con gli autori per trasformare le loro visioni in realtà.

Sia storicamente che attualmente gli autori di colore – e quelli esclusi in quanto minoranze di altro tipo – hanno visto spesso negata la possibilità di raccontare le loro storie attraverso ogni parte del processo di creazione dei loro testi.

Questa difficoltà si presenta in vari modi, compreso quello che considera i ricettari scritti da POC et similia come prodotti di nicchia, con poco seguito e pubblico, quindi difficili da vendere. E quando si riesce a convincere l’eventuale e riluttante editore bianco questo tende imporre una visione monolitica della cucina non occidentale (da qui titoli come “il libro definitivo sulla vera cucina indiana”, per fare un esempio).

Se si tiene in considerazione che gli autori di colore sono spesso rappresentati da agenti bianchi che si rivolgono a editori bianchi è facile intuire, che lì dove si prendono le decisioni strategiche circa i progetti editoriali, questi scrittori siano gli unici esponenti della propria cultura. Le decisioni prese hanno poi una tale influenza sulla cultura alimentare dello scrittore POC da arrivare a reprimerne l’identità a beneficio della cultura alimentare occidentale. L’altro scenario è quello in cui gli editori – quando convinti a pubblicare –  presumano che il libro sia esclusivamente dedicato un pubblico POC, come se il testo non potesse essere compreso e apprezzato da chiunque.

Per concludere questo triste quadro c’è da considerare l’aspetto economico: scrivere un ricettario di successo richiede molto capitale. Foto, ricette affidabili e promozione del libro richiedono tempo e denaro, e se gli editori non se la sentono di scommettere sul progetto si rischia di non ottenere i giusti investimenti finanziari con la conseguente mancanza di vendite. In pratica un cane che si morde la coda e che non è in grado di spostare il focus della faccenda verso orizzonti migliori.

Questo insieme di considerazioni si abbatte maniera pesante sulle aspettative degli autori che si ritrovano demotivati dal basso investimento, ideologico e finanziario, sul loro progetto editoriale. E’ in questo modo che si arriva a privare il mercato editoriale di voci estremamente importanti. La diseguaglianza etnica (ma in generale di tutto ciò che non rientra negli standard occidentali di buono e giusto) nei libri dedicati alla cucina ha un grande impatto sulla più ampia comunità alimentare. Con meno autori di colore rispetto ad altri, si avranno verso i primi minori riconoscimenti importanti e significativi, questo si traduce in pochi inviti a conferenze, festival enogastronomici, fiere del libro, apparizioni in TV e in radio. Il mondo del cibo, in questo modo, si priva di un orizzonte importante, e in definitiva non riflettere in maniera accurata il mondo reale delle cucine del mondo.

Cosa possiamo fare noi lettori per rimediare a questo status quo e incitare gli editori a rappresentare l’industria alimentare in termini più equi di cultura e inclusione? Mi è piaciuta molto la “ricetta” proposta da Julia Turshen (dedicata a lettori, scrittori ed editori) per affrontare le disparità che affliggono l’editoria culinaria. Eccone un sunto:

  1. Acquista libri di cucina scritti da autori contemporanei di colore o che rappresentano qualsiasi tipo di minoranza che non sia solo etnica (e preordina quelli in uscita). Invii così un messaggio chiaro agli autori e ai loro editori: esiste un pubblico vasto e ampio per i loro libri. Regala questi libri ad amici e familiari;
  2. Prenditi 15 minuti per lasciare recensioni positive su Amazon per cinque autori. Scrivere una buona recensione per un libro che ti piace è una delle cose più gentili e di maggior sostegno che puoi fare per uno scrittore;
  3. Se uno di questi autori sta organizzando un evento vicino a te per promuovere il suo libro, vai e porta un amico! Presentarsi è un modo tangibile per mostrare il tuo sostegno. Inoltre, puoi incontrare l’autore e ascoltare tutte le cose che lo ispirano (e di solito c’è qualcosa di buono da mangiare);
  4. Hai notato che la tua libreria di fiducia non ha molti libri di cucina di autori del genere? Chiedi loro di portare una selezione più diversificata. Suggerisci un libro o due;
  5. C’è un autore che ami ma non è contemplata una tappa promozionale nella tua città? Hai degli amici nelle vicinanze che verrebbero anche loro a vederlo? Porta questi autori nella tua comunità e crea e gestisci un evento che li coinvolga. Parla con la tua libreria locale e chiedi se potrebbero prendere in considerazione l’idea di ordinare copie extra e tenere uno speech. Anche le biblioteche e i ristoranti locali sono ottimi punti di riferimento;
  6. Lavori o studi in università? Molte hanno budget per portare gli oratori a parlare con gli studenti e la comunità in generale. Suggerisci un autore di libri di cucina di colore o appartenenti a categorie discriminate;
  7. Leggi e condividi articoli scritti da e su persone discriminate. Scrivi agli editori o agli autori dell’articolo e fai sapere loro quanto ti è piaciuto leggerli e dì che speri di vedere più contenuti simili;
  8. Segui questi autori sui social media, metti mi piace alle loro foto e lascia commenti. Un seguito ampio e impegnato è una delle cose più attraenti per un editore;
  9. Ascolta, condividi, iscriviti e lascia belle recensioni per i podcast ospitati da e con scrittori di cucina POC o discriminati a causa delle loro realtà di genere, orientamento sessuale o di salute;
  10. Se sei un autore di libri di cucina, sforzati di assumere fotografi, stilisti, tester di ricette e pubblicitari in un’ottica inclusiva.  Equity at The Table (EATT) è un ottimo esempio… [N.B. a proposito: sapete se esiste qualcosa del genere in Italia?];
  11.  Se sei un autore di libri di cucina con un agente, chiedi quanti scrittori POC, o discriminati per ragioni di cui sopra, rappresenta. Consigliane alcuni. Se vedi che non la proposta non interessa, considera se vuoi essere rappresentato da qualcuno con opinioni così limitate sull’inclusione;
  12. Se sei un autore di libri di cucina e ti viene chiesto di partecipare a un panel o a una conferenza, chiedi chi altro ne farà parte. Se non c’è un’ottica inclusiva, consigliane qualche nome o titolo che porti maggiore diversità culturale nel panorama dell’evento;
  13. Allo stesso modo, se sei un autore di libri di cucina e ti viene chiesto di partecipare a un panel, o a una conferenza, e non puoi partecipare, consiglia una persona di colore o discriminata al tuo posto;
  14. Se stai organizzando un evento con grandi opportunità di networking, considera chi inviti e prenditi qualche momento per presentare personalmente scrittori e autori alle persone che possono aiutarli a portare avanti i loro progetti. Non sottovalutare il potere di una presentazione personale. Questo può essere fatto anche via e-mail;
  15. Pensi che uno scrittore possa essere perfetto per un incarico, un progetto per un libro, ecc. ma presumi che sia troppo occupato? Non darlo per scontato. Chiedi e ti farà sapere;
  16. Editori: per favore, considerate il budget quando offrite un contratto e fate tutto il possibile per investire in autori che portino la loro diversità nel panorama editoriale, in un modo tale che permetta loro di creare bellissimi libri che sarete entusiasti di promuovere. Supportateli dall’inizio alla fine del processo. Una volta uscito il libro, il lavoro non finisce. Investire nel successo del loro lavoro non è solo un buon affare, ma fa progredire tutti;
  17. Editori e altri responsabili dei media alimentari: assumete più persone in un’ottica di inclusione! Da redattori interni, designer e assistenti ad agenti, illustratori, fotografi e scrittori freelance;
  18. Offri e invita a offrire tirocini retribuiti. Un ottimo modo per farlo è contattare realtà associative, istituzioni e organizzazioni che si occupano di rifugiati, persone di colore, minoranze di vario tipo.

Mi rendo conto che in Italia questo discorso è poco sentito… ancora. Eppure anche qui da noi, questo tipo di libri di cucina narrano non solo di cibo ma anche di realtà politiche e culturali su cui vale la pena riflettere. E’ una forma di… Attivismo culinario!

Che ne pensate?

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