Tra rotaie e Albana: la storia della famiglia Casali

a Nicola e Giuseppe Galasso

Premessa: sono figlia di un ferroviere, e prima di mio padre anche mio nonno lo era (che sotto un treno ha perso una gamba), i treni sono di famiglia, quindi. Locomotive & Co. hanno costituito, dalla mia nascita fino ad oggi, una geografia sentimentale fatta di luoghi e persone, per me indelebili, nel bene e nel male.

Ma, come di solito accade, la familiarità che si ha con un contesto rischia di darlo per scontato, così tra stazioni, carrozze, treni e viaggi il tempo è passato, cambiando le Ferrovie Italiane sotto i miei occhi, che faticano, oggi, nel riuscire a imprimere il paesaggio che scorre sempre più veloce fuori dal finestrino di un Frecciarossa.

I treni moderni sono superaccessoriati, in poche ore ci permettono di viaggiare per l’Italia, da nord a sud (e viceversa), una vera comodità se si pensa che una tratta di 200 Km si percorreva in poco più di 4 ore a inizio Novecento. In più, sui nostri vagoni, godiamo di tutta una serie di servizi non così ovvi a quell’epoca. In questo post affronteremo quelli relativi alla ristorazione, sopra e fuori dal treno, a opera di una famiglia romagnola che ha fatto grande il nome non solo della propria Regione ma anche, e soprattutto, della capacità italiana di unire innovazione e gastronomia.

La stazione di Cesena in una immagine prima del 1905, come testimonia la locomotiva della R.A. 3615. Il locale sulla destra è il “Buffet della stazione” di Marsilio Casali, padre di Aldo. (Per gentile concessione di A. Gamboni – www.clamfer.it)

A iniziare tutto è Marsilio Casali, è il 1813, e si sta costruendo la ferrovia che da Bologna collega Ancona. In questo frangente Marsilio si preoccupa di distribuire i pasti agli operai della ferrovia. Una volta terminata la strada ferrata, il Casali decide di continuare il suo lavoro di ristoratore, e apre a Cesena, il primo buffet della stazione, un locale dotato di cucina, in grado di fornire pasti, sia caldi che freddi, ai viaggiatori (e già questa era una grande novità).

Alla morte del padre ad ereditare il tutto è Aldo, che si rivelerà ancora più innovativo del genitore. Aldo lavora già da tempo in quello che da piccolo buffet della stazione si è trasformato in un noto ristorante. Lui stesso e già famoso come ristoratore, grazie alla sua dittatura gastronomica. Il suo locale infatti non prevede nessun menu, ad Aldo basta guardare in faccia il cliente per decidere e capire cosa servirgli, e pronunciare la fatidica frase, divenuta poi il suo slogan:

 “Guardi, non si preoccupi, per lei ordino io”

Ma l’idea più celebre la ha quando decide di offrire direttamente sul treno, ai passeggeri, un servizio unico: nasce il cestino da viaggio. Un cestino fatto di finissime trecce di paglia di Firenze che fa realizzare dalle donne di casa, contenente un microcosmo di comodità e sapore. L’elegante borsetta contiene infatti un bicchiere di cristallo, un tovagliolo e posate che accompagnano, sempre, un pasto caldo. Ecco che nel tegame di coccio fanno capolino cibi strettamente legati al territorio: lasagne, tortellini, tagliatelle, pollo e patatine, frutta di stagione (favorita era la pesca “bella di Cesena” quando era il suo tempo), contorni e una piccola bottiglia di albana.

Aldo amava i piccoli particolari di classe e, da commerciante avveduto, sapeva come sedurre i propri clienti, ed ecco che il paniere conteneva anche:

“Un fiore ed un ventaglio per le signore, una sigaretta per i signori e per tutti una cartolina del ristorante, già affrancata, con la dicitura sono arrivato a …”. (Fonte www.clamfer.it)

In poco tempo l’idea di Aldo diventa famosa, al punto tale da essere presto adottata in vari paesi. Ottimo vettore è il famoso “treno delle Indie” che da Londra scendeva verso il Mediterraneo, per proseguire poi verso oriente. Un treno che a Cesena si fermava solo un minuto che, abilmente sfruttato, permetteva ad Aldo di vendere fino a 400 cestini (gli ultimi con il treno già movimento).

London & North Western Railway, Gran Bretagna 1908. Una passeggera mentre ritira da un addetto un cestino da viaggio e, a destra, il suo contenuto per un pasto veloce da consumarsi in treno (da: “L’Epopea del treno”, 1999). (per gentile concessione di http://www.clamfer.it)

Ma Casali non si arrende, e per ottenere più tempo a suo vantaggio inventa un piccolo escamotage: appena il treno si ferma in stazione, la prima cosa che fa è regalare un cestino al macchinista. Un tacito accordo che gli regala, ogni volta, quattro minuti. Si dice che sia nato così il detto “ungere le ruote“, perché il macchinista perdeva tempo, dopo il “dono” di Aldo, a controllare le ruote del treno con un bastone.

Questi 4 minuti diedero però fastidio a Roma, dove per evitare il ritardo, si decise di non far più fermare il treno a Cesena, con grande malumore dei passeggeri spogliati, in questo modo, della possibilità di gustare il famoso cestino di Casali.

Fu grazie a Starace, il segretario di Benito Mussolini, che le cose cambiarono. Una sera prima di un Natale telefonò al Casali avvertendolo che sarebbero passati per Cesena, ovviamente in treno, e che volevano trovare pronti 50 cestini. Di fronte alla replica preoccupata di Aldo che il treno non si fermava più in città, la risposta di Starace fu perentoria: “Non si preoccupi, da domani sera il treno si fermerà”. E così fu, il treno tornò a fermarsi a Cesena in maniera stabile.

Il grande merito di Aldo non fu solo quello di far conoscere, anche fuori dall’Italia, la cucina romagnola, il suo cestino veicolò anche un altro protagonista, il vino, in particolare l’albana. Era questo il vino che era contenuto nel suo elegante paniere in paglia, non offriva Trebbiano o Sangiovese, e così ne motivava la scelta:

“Il Trebbiano ce l’ hanno tutti, l’Albana è solo nostra, il Sangiovese ce l’ hanno tutti mentre invece l’Albana è solo nostra”.

Questo suo attaccamento all’Albana si ricollegava ragioni più profonde:

 “L’Albana ricorda i momenti felici della Romagna, voi sapete benissimo che le usanze, le tradizioni della Romagna sono che, nei momenti felici, quando c’è una nascita, un battesimo, una comunione, una cresima, si beve Albana perché è buona e perché porta fortuna. Già nei matrimoni, quando non c’è più quella felicità, perché c’è lo stacco dalla famiglia, già si inizia a bere un po’ più di Sangiovese. Il Sangiovese ricorda un po’ più i momenti tristi della Romagna e infatti, voi sapete benissimo, i vecchi repubblicani, i laici di una volta, non volevano il prete, non volevano nessuno, ma offrivano sempre, lasciavano pagata al partito una damigiana di vino che poi nell’ultimo saluto era l’ultimo brindisi, l’ultima bevuta che si facevano. Perciò nelle tradizioni, nella storia il Sangiovese ricorda i momenti tristi, l’Albana invece ricorda i momenti felici”. (Terenzio Medri, atti del IV Convegno festa artusiana, 2000)

Un modo per augurare il benvenuto nella sua terra, quindi, e al contempo un portafortuna per chi partiva o transitava da essa.

Non posso nascondere che un po’ mi sono commossa pensando al lavoro di questa straordinaria famiglia, di cui permane il ricordo, ai più sconosciuto, in ogni luogo di ristorazione ferroviaria.

Devo bere presto un buon Albana per brindare alla loro memoria… Per il Sangiovese c’è sempre tempo.

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