Natale, panettone! Perchè?

Molto spesso, quasi provocativamente, chiedo alle persone il perché stanno mangiando quel dolce, in quella particolare festa, e non un altro. Novantanove volte su centro non lo sanno, mi rispondono che lo si fa per tradizione. La tradizione (amata e odiata parola da ogni antropologo) però va conosciuta, non data per scontata, perché ci racconta chi siamo e cosa stiamo diventato, perché anche lei è in costante evoluzione. Iniziamo quindi, visto il periodo, dal Panettone.

Questo dolce festivo, ha una valenza simbolica molto forte. Non ha solo un significato religioso ma anche collettivo. Non a caso, anticamente, alla sua preparazione collaborava tutta la famiglia; univa e dava senso di appartenenza, faceva sentire a casa.

Immergendosi nelle radici storico-culturali di questo dolce, l’utilizzo di un pane votivo durante le festività del solstizio invernale (sostituito poi, con il Cristianesimo, dalle festività natalizie) è attestato già presso le popolazioni celtiche a cui dobbiamo l’utilizzo in chiave benaugurante di altri simboli “natalizi” quali l’abete, il vischio e l’agrifoglio. Era un pane impastato con farina, frutta secca e miele (ingredienti preziosi), da regalare e consumare come segno di una nuova stagione di abbondanza e ricchezza. L’antenato dell’odierno panettone, il “pan grande“, veniva preparato in famiglia, collettivamente, e consumato al rientro dalla messa di mezzanotte secondo un rituale che affidava al membro più anziano l’onore del taglio e destinava una fetta al primo povero che avesse bussato alla porta. Ancora non era il nostro panettone, ma un dolce che aveva la forma di una grossa pagnotta, ed era quindi meno lievitato.

In Italia ci sono svariati dolci natalizi. Mi voglio soffermare specialmente su due: le cartellate pugliesi e i torciglioni tipici del centro Italia per un discorso di simbologia alimentare; entrambi presentano una forma a spirale. Le cartellate sono a base di vin cotto di fichi o miele, eredi delle offerte a Demetra poi trasformatesi in omaggi propiziatori alla Madonna. Il torciglione, invece, data la sua forma, richiama la simbologia pagana del serpente, collegamento tra il mondo sotterraneo e quello esterno, tra tenebra e luce.

Ma torniamo al nostro panettone (la breve digressione precedente è per far capire quanta simbologia alimentare è nascosta in quel che mangiamo… e non conosciamo). L’origine pare collocarsi nel Medioevo, durante la Signoria degli Sforza. Tre le leggende in merito, una relativa alla disavventura di un pasticcere, che per ovviare a un’infelice infornata porta in tavola il “Pan de Toni“, il dolce improvvisato dal garzone Antonio; la seconda racconta di una storia d’amore contrastata, quella tra Ughetto degli Atellani, falconiere di Ludovico il Moro, e la bella Adalgisa, figlia di un fornaio, che riescono a convolare a nozze grazie all’invenzione di un “Pan di tono” condito con ingredienti sopraffini, e infine quella di suor Ughetta –- ugheta, come uva passa – che sostentava i poveri e rallegrava le sorelle del proprio convento grazie agli introiti della sua attività di pasticcera.

In Lombardia (come in altre parti d’Italia), in concomitanza con la preparazione del panettone, era uso anche bruciare il ciocco natalizio, che doveva bruciare un po’ ogni sera durante i 12 giorni natalizi fino all’Epifania. Dodici giorni, simbolo dei 12 mesi dell’anno, in analogia con il sole (e poi il Cristo) che, nato al solstizio d’inverno, avrebbe nutrito la terra per un anno intero. Per questo si diceva “Domani è il giorno del pane” e si consumavano dolci a base di farina, uvetta e canditi, dei quali il panettone è oggi il più famoso. L’usanza è diffusa in tutta Europa: in Francia si usa preparare nelle campagne il pain de Calandre. Poi se ne taglia nella parte superiore un pezzetto sul quale vengono incise tre o quattro croci: è un talismano – dicono i contadini dell’Avernia – capace di guarire da molti mali. Il resto del pain de Calandre viene mangiato da tutta la famiglia. In Inghilterra i fornai regalavano ai clienti una focaccia beneaugurale, detta Christmas-batch, non diversamente da quelli lombardi che, prima della commercializzazione moderna, offrivano il panettone a Natale.

Il panettone che oggi conosciamo, presente sulle nostre tavole natalizie, ha una datazione più tarda, collocabile intorno all’Otto-Novecento, frutto della competizione tra le “offelliere” milanesi più di moda, Biffi e Cova (le antenate delle moderne pasticcerie; da “offa“, parola usata per indicare delle focaccette dolci sfornate per allietare le feste. L’offelliere era l’artigiano che realizzava queste specialità dolci, distinto dal fornaio che, un tempo, si occupava esclusivamente di panificare).

Il panettone nasce basso, ma cresce in altezza grazie alla voglia di distinguersi di Angelo Motta: è a lui che negli anni Trenta del XX secolo si deve lo slancio in verticale dell’impasto in lievitazione costringendolo in un pirottino di carta da forno (la competizione poi si stabilirà tra lui e Alemagna).

Quale sia la sua origine, questo dolce veniva prodotto a Milano tutto l’anno in formato ridotto, solo a Natale raggiungeva un peso superiore ai 500 gr. Il Cherubini infatti scriveva che “grande di una o più libbre sogliamo farlo soltanto per Natale, di pari o simil pasta, ma in pannellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamano panattonin“.

Una tradizione ancora viva in Lombardia associa il giorno dedicato a S. Biagio (3 febbraio) al panettone. In occasione di questa festa si offrono fette di panettone leggermente tostate e cosparse di zucchero a velo (o bagnate nel vino), in ricordo di un miracolo del santo che curò un bambino morente a causa di una spina di pesce che gli si era conficcata nella gola. S. Biagio fece ingoiare al bambino una grossa mollica di pane che portò via la spina, salvando così la vita al piccolo. Da qui la tradizione di serbare il panettone di Natale fino al giorno di S. Biagio, perché sicuri che se mangiato in tale data il dolce preservasse dal mal di gola.

Prima di chiudere, questo di certo non esaustivo articolo sul panettone, mi piaceva proporvi una riflessione sul legame tra i dolci e le festività in generale, un legame molto forte e reciproco: ogni festa ha un dolce che la caratterizza e ogni dolce ha una festa che lo rende sacro.

Il panettone non sfugge a questa logica, e anzi ci permette di capire che gli ingredienti, la forma e l’uso di un dolce festivo trasmettono sempre molte informazioni. La forma, per esempio, è sempre simbolica, o come diceva Alberto Cirese “la forma non nutre: veicola informazioni e non calorie”. L’uso, come abbiamo accennato, distingue questo dolce dal mangiare quotidiano mentre gli ingredienti possono cambiare anche a secondo di quali sono i destinatari del suo consumo, ricchi o poveri, ma anche in base alla loro simbologia. Ma la caratteristica più importante da osservare, tra gli ingredienti, è la presenza o meno del lievito, e di come e quanto è fatto lievitare il dolce (orizzontalmente o verticalmente), e il panettone in un certo senso richiama quella lievitazione che lo porta verso l’alto, come una spirale che unisce uomo e divino, alla stregua del torciglione e delle cartellate.

Sono convinta che adesso mangerete il Panettone con un po’ di consapevolezza in più, vero?
A chi volesse approfondire ancora di più l’origine e la simbologia di questo dolce natalizia, lascio qui sotto una piccola e ragionata bibliografia

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