La specie prepotente di Luigi Luca Cavalli-Sforza

Copertina

Luigi Luca Cavalli Sforza ha fatto della divulgazione scientifica il baluardo della sua missione di scienziato. Non basta fare ricerca, bisogna anche essere in grado di rendere fruibile, accessibile a tutti il frutto di tanto lavoro. Nei libri di Cavalli-Sforza si sente la sincera passione che può derivare unicamente da un’esperienza professionale vissuta come piena consapevolezza dell‘importanza di far interloquire la scienza con le persone: sono testi chiari, semplici senza perdere in scientificità, anzi rendendola accattivante, da approfondire.

Cavalli-sforza affabula la scienza, e non è dote da poco.

Eppure… Eppure questo libro, il mio amato Cavalli-Sforza, se lo poteva risparmiare. Delle 190 pagine che compongono questo saggio ben 110 sono dedicate ad un’ulteriore semplificazione di tutte le sue ricerche, già offerte in precedenti pubblicazioni ai lettori, e solo 80 sono dedicate al titolo di questo volume “La specie prepotente”. Titolo che a rigor del vero è quello che più di tutto mi ha spinto ad acquistarlo, nella convinzione di trovarvi una sorta di “Armi acciaio e malattie” alla Diamond dai risvolti bioculturali tanto cari a Cavalli-Sforza. In realtà nulla di tutto ciò, le 80 pagine su cui confidavo sono state una delusione, nessuna nuova teoria, nessun titillamento intellettuale su cui poggiare nuove riflessioni.

In definitiva il libro porta avanti i temi cari al nostro autore: evoluzione e progresso alla luce delle conquiste dell’uomo, e delle odierne sfide da raccogliere alla soglia di un’era che ci vede impreparati ad affrontare i frutti della nostra evoluzione culturale.

Un flebile interesse, quasi fantascientifico, nelle righe finali del capitolo finale:

“La condanna della scienza – che si ritrova anche in alcune religioni che potrebbero essere relativamente avanzate – non ha mai considerato il motivo per cui i suoi sostenitori vivono più a lungo dei loro antenati, e tali sostenitori dovrebbero studiare la storia della medicina. Qualunque altro progresso osservabile non supera quello del proprio benessere fisico; quanto a quello «morale», inteso nel senso più vasto, esso dipende da molti fattori, tra cui il benessere fisico è quasi certamente il più importante (il famoso «quando c’è la salute…»). Non starò a elencare gli altri progressi, che sono notoriamente avvenuti ma sono certamente meno importanti; ognuno darà loro il peso che vuole.

Mi interessa, invece, continuare a discutere il rapporto tra lo stato di «felicità» dei cacciatori-raccoglitori e il loro modo di vita. Naturalmente è impossibile, con le nostre conoscenze attuali, dimostrare che sono felici, o almeno più felici di noi. Ma, se questo fosse vero, potrebbe dipendere largamente dalla totale mancanza di gerarchia sociale fra di essi. La mancanza del «senso di superiorità» e «inferiorità», così comuni nelle nostre società, rende forse anche più facile la gentilezza e l’aiuto reciproco.

Potrebbe allora non essere poi così ingenuo pensare che la loro età fosse un po’ quell’età dell’oro che è presente in tante religioni e tradizioni.

Forse la più antica traccia di età dell’oro è scritta nella Bibbia, dove però vengono fatte delle semplificazioni inaccettabili del nostro passato. Nel Seicento due vescovi inglesi calcolarono in base alla Bibbia quando Dio creò il mondo: un po’ più di 6000 anni fa. E parecchi ancora vi credono.

Secondo la Bibbia, Adamo ed Eva vivevano nel Paradiso terrestre, da cui furono cacciati per il loro noto errore: mangiare il «frutto proibito»; forse l’aver cercato di aumentare le loro conoscenze, sviluppando la scienza, è costato a entrambi l’immortalità. Dei loro figli, Caino era un agricoltore, Abele un pastore; erano quindi già neolitici. Nella Bibbia, la storia dei primi giorni e anni del mondo è notoriamente molto abbreviata, quindi non è del tutto assurdo (anche se un po’ ridicolo) pensare che Adamo ed Eva fossero cacciatori-raccoglitori. Certamente vivevano, almeno all’inizio, in un bel posto, in condizioni senz’altro accettabili per un’ipotetica «età dell’oro». Certo, vi era il serpente che costò la loro felicità, ma chi era, in realtà? Il desiderio di conoscenza? Meglio sarebbe stato, quindi, tornare allo stato di totale ignoranza?

In base alle descrizioni bibliche è molto difficile ricostruire dove fosse il «Paradiso terrestre», perché si tratta di una zona molto estesa. Più utili si rivelano le notizie sumeriche di un giardino dell’Eden molto simile, per vari dettagli, a quello della storia biblica. Se non altro, la localizzazione che se ne ottiene è un po’ meno incerta: si tratterebbe della Persia sud-occidentale. Al momento non vi sono notizie sicure, ma – almeno nell’area dell’Asia mediorientale ed Egitto – la scrittura è cominciata un po’ più di 5000 anni fa, e vi sono ancora preziose biblioteche poco studiate, oltre che rari ma ben datati documenti assai antichi trovati in scavi recenti. E se fosse l’area, che non può essere molto distante, dove viveva quella famosa piccola tribù di cacciatori-raccoglitori che ha popolato il mondo cominciando 60.000 anni fa?

Ci sono speranze di ritornare all’età dell’oro? Naturalmente non ce ne sono, almeno sulla Terra. Quindi perché parlarne, se non per sfizio storico? Cambiando argomento per un istante, devo raccontare che ho notato, con l’invecchiamento, che al mattino, nel letto, mi vengono idee nuove nel dormiveglia, e non sono affatto cattive. Sembra incredibile, ma sono più frequenti di una volta, e perciò ne ho parlato con Rita Levi Montalcini, la famosa neurobiologa, per vedere se la cosa stupisse anche lei. Mi ha detto che le succede la stessa cosa. Racconterò allora l’idea che mi è venuta in mente proprio stanotte.

Sappiamo che oggi un grande problema della specie umana è che siamo in troppi e stiamo ancora riproducendoci troppo; ma se riempiamo troppo la Terra non tenendo conto delle risorse disponibili, o facilmente aumentabili senza eccessivi sacrifici, diverrà impossibile emigrare da qualche altra parte del nostro pianeta, come l’uomo ha potuto fare finora. Dove, allora, potremmo emigrare?

Devo premettere che l’idea mi è venuta per via di un libro scritto più di quarant’anni fa dal professore di mio figlio, quando era a Princeton; si chiama Gerard K. O’Neill ed era un fisico molto intelligente, responsabile della costruzione di importanti apparecchi di fisica. L’ipotesi sviluppata nel suo Colonie umane nello spazio, tradotto in italiano da Mondadori nel 1979, consentirebbe la possibilità di lasciare la Terra in un modo speciale, senza dover andare su un altro pianeta, perché, purtroppo, non vi è alcun altro pianeta dove andare a vivere, almeno in base alle osservazioni disponibili oggi, e la stella più vicina a noi si trova a quattro anni luce. Dal momento che non possiamo sperare di viaggiare tanto rapidamente quanto la luce, se vogliamo andare davvero in un posto fuori dalla Terra dobbiamo accontentarci del Sistema solare. Per il momento non c’è nessun luogo in cui potremmo vivere, se non creando ambienti artificiali molto diversi dal nostro.

Si tratterebbe dunque di costruire delle piattaforme orbitanti intorno alla Terra (o alla Luna, o a un altro pianeta) in cui sia possibile far crescere il cibo necessario per mantenere indefinitamente qualche centinaio o al più qualche migliaio di persone, usando allo scopo l’energia solare. Queste unità dovrebbero essere fornite di navette che possano trasportare un piccolo gruppo di individui dalla Terra e verso la Terra, o anche un’altra piattaforma ruotante intorno allo stesso pianeta. La proposta originale è stata concepita per piattaforme di centinaia e più tardi anche migliaia di persone.

L’esperienza della vita sulla Terra tra 60.000 e 10.000 anni fa, cioè prima dell’agricoltura, mostra che questo sistema sociale ha funzionato bene per migliaia di tribù di cacciatori-raccoglitori, a patto di riuscire a mantenere il numero di abitanti abbastanza costante e, anche nella fantasia di O’Neill, il «territorio» disponibile per ognuna di queste tribù aeree avrebbe risorse limitanti, soprattutto a causa del poco spazio in cui si potrebbe produrre il cibo.

Come spesso avviene negli Stati Uniti, questa idea ha dato origine a entusiasmi e persino a tentativi di trovare finanziamenti e cominciare a costruire piattaforme orbitanti. Uno di questi tentativi è raccontato in una recentissimo articolo di una rivista sullo spazio.

Sarà difficile esportare in questo modo l’eccesso di popolazione che si sta producendo sulla Terra, ma si può sperare che venga fatto qualche tentativo, e controllare se questo ritorno alle dimensioni tribali delle società umane possa migliorare il grado di felicità, riducendo o annullando le gerarchie sociali. In queste piccole società non ci sarebbe bisogno di capi carismatici capaci di mesmerizzare milioni di individui, come è avvenuto tante volte nella storia degli ultimi millenni, con esperienze profondamente negative. Nelle piattaforme orbitanti non ci sarebbe alcun bisogno di capi, se mai di specialisti, per doveri che richiedano un’elevata specializzazione, ma sempre entro limiti di popolazione molto modesti. Proprio come accadeva tra i cacciatori-raccoglitori, le persone che dovessero rendersi indesiderabili da qualche gruppo potrebbero venire espulse e dovrebbero trovarsi un’altra piattaforma – o la vecchia Terra – che li accetti. Oppure, il che non avveniva tra i cacciatori-raccoglitori, venir messi in congelamento temporaneo; cosa che però non potrebbe essere ripetuta troppe volte. In caso di completo e ripetuto insuccesso, potrebbero infine essere riciclati parzialmente o totalmente.

La proposta potrebbe sembrare del tutto ridicola e assurda, se non fosse che l’esistenza di migliaia di tribù su un modello unico ha funzionato bene per 50.000 anni e ha smesso di funzionare solo quando molte tribù non hanno più controllato il proprio accrescimento numerico. All’inizio sono riuscite a creare nuovo cibo producendolo mediante la coltura di piante e l’addomesticazione di animali, ovvero il loro cibo normale, che si trovava però in quantità limitata. Su piattaforme orbitanti, le nascite non potrebbero che essere totalmente controllate. Sarebbe fondamentale mantenere una sola lingua universale, perché la creazione di «nazioni» linguistiche genererebbe forse inevitabilmente guerre di dimensione crescente, proprio come è avvenuto dopo l’invenzione dei metalli e l’addomesticazione del cavallo, circa 5000 anni fa.

Non vorrei che quanto sopra fosse letto come una previsione o una profezia. È soltanto un’ingenua speranza, basata sull’idea che effettivamente preferiamo vivere in un gruppo sociale abbastanza piccolo, in cui ci conosciamo tutti piuttosto bene e con cui siamo contenti di vivere.” (La Specie prepotente, pag 178-185)

La specie prepotente è comunque una perfetta sintesi dell’opera di Luigi Luca Cavalli-Sforza, mi sento quindi di consigliarlo a chi voglia approcciarsi a questo scienziato italiano il cui contributo alla genetica delle popolazioni e all’evoluzione della cultura è da considerarsi basilare. Subito dopo unirei la lettura del suo bellissimo “Perchè la scienza. L’avventura di un ricercatore” la sua autobiografia, pretesto per raccontare attraverso la vita, la sfida e la passione di fare scienza.

3 Replies to "La specie prepotente di Luigi Luca Cavalli-Sforza"

  • Tweets that mention La specie prepotente di Luigi Luca Cavalli-Sforza | Evoluzione Culturale -- Topsy.com 24 Febbraio 2011 (12:34)

    […] This post was mentioned on Twitter by tirebouchon and Lucia Galasso, Lucia Galasso. Lucia Galasso said: La specie prepotente di Luigi Luca Cavalli-Sforza – Evoluzione Culturale – http://tinyurl.com/6fne37w […]

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    RedWolf 25 Febbraio 2011 (23:17)

    Anche io sono “fan” di Cavalli Sforza, peccato sapere che in questo libro non è riuscito a compiere una sua… evoluzione! Era partito bene con L’Evoluzione della Cultura, ma se ho ben capito qui il titolo, in effetti, sembra promettere ben altre argomentazioni, peccato!

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    Antonio Fadda 7 Marzo 2011 (19:18)

    Si concordo pienamente con quanto scritto nella recensione. Io sono alle prese con una tesi sul nostro affezionato. In realtà avrei tutto l’interesse a dialogare con qualcuno su questi temi… ci stanno molte cose di cui vorrei chiedere chiarimenti ad altre persone… se qualcuno è interessato a due chiacchere può mandarmi una mail…. navan@autistici.org Intanto complimenti per il sito !

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