Mappa cerebrale dei sapori, dieta e cervello, Homo erectus e la sua cucina

Il numero in edicola di Le Scienze (Ottobre 2011) mi ha regalato, oltre alla solita godibile lettura, anche tre notizie di antropologia alimentare a firma del giornalista scientifico Giovanni Sabato. Ve le riporto, perchè veramente interessanti, buona lettura!

Una discussa mappa cerebrale dei sapori

Il gusto non funziona come l’olfatto. Ciascuno dei tanti tipi di recettori olfattivi risponde a una gamma di odori diversi, ed è la loro combinazione a identificare il singolo odore. Charles Zuker, neuroscienziato della Columbia University di New York, aveva già sorpreso i colleghi dimostrando (precedente articolo qui) che la lingua e il palato hanno invece sensori specializzati per ciascuno dei cinque gusti fondamentali: dolce, salato, aspro, amaro e unami, il sapore dato dal glutammato monosodico.

Restava però da capire come questa informazione fosse codificata dal cervello. Ora, su “Science”, con una nuova tecnica di analisi fine dell’attività dei neuroni, Zuker chiarisce anche questo aspetto, e la risposta è simile. Anche la corteccia gustativa primaria dei topi ha gruppi distinti di neuroni che rispondono selettivamente a ciascuno dei gusti fondamentali (eccetto l’aspro, i cui neuroni non sono emersi, almeno non nell’area analizzata).

Non è detta comunque l’ultima parola. Quella che Zuker chiama la “mappa gustopica” della corteccia contrasta con gli studi elettrofisiologici classici, secondo cui i neuroni rispondono a un’ampia gamma di gusti. Così si è già aperto il dibattito: la nuova tecnica va preferita in quanto più affidabile o precisa, o introduce artefatti, per esempio perché impone di anestetizzare i topi durante le analisi?

Meno Calorie, ingegno più aguzzo

La fame non aguzza l’ingegno, ma un po’ di appetito si. Tra i benefici della restrizione calorica, oltre alla longevità, sono spesso emersi miglioramenti cognitivi, grazie soprattutto al rallentato declino di apprendimento e memoria con l’età. Un gruppo di neuroscienziati del CNR e della Scuola Normale Superiore di Pisa, guidati dal Presidente dell’Accademia dei Lincei Lamberto Maffei, ha mostrato su “Nature Communications il motivo: una moderata restrizione alimentare attiva meccanismi fisiologici che restituiscono al cervello adulto una plasticità giovanile.

Lo studio ha fatto uso di un classico modello di plasticità neurale, i riadattamenti della corteccia visiva. Di norma uno dei due occhi è più attivo dell’altro, e ha una rappresentazione più ampia nella corteccia visiva. Se però nei giovani animali l’occhio dominante resta occluso per un po’, la corteccia si riorganizza a favore di quello funzionante. Se la deprivazione si protrae, l’occhio occluso perde la sua acuità e si ha ambliopia (il cosiddetto occhio pigro), che può essere corretta invertendo l’occhio chiuso e l’aperto. Questo è possibile solo nell’infanzia, quando il cervello è plastico. Nell’adulto l’ambliopia non è correggibile.

Ratti adulti tenuti per un mese sotto particolare regime alimentare, che ne ha ridotto del 20 % l’apporto nutritivo, hanno invece recuperato una duttilità simile a quella infantile, tornando capaci di cambiare occhio dominante e guarire dall’ambliopia. La ritrovata plasticità – hanno rivelato le analisi – dipende dal calo di segnali biochimici che di norma la inibiscono, quali il neurotrasmettitore GABA.

Oltre che nella corteccia visiva, il GABA cala anche nell’ippocampo, una regione essenziale per l’apprendimento. Come altri lievi stress, inoltre, la privazione di cibo aumenta leggermente i livelli di corticosterone, e simulando con farmaci le variazioni ormonali indotte dalla dieta si ottiene un analogo aumento della plasticità. Queste e altre osservazioni suggeriscono un’interpretazione suggestiva, sebbene per ora speculativa: che come adattamento a situazioni difficili, quali la penuria di cibo, il cervello recuperi una maggiore capacità di modificarsi in funzione delle esperienze.

La buona cucina di una volta

Homo erectus cucinava già il suo cibo. Un team di Harvard guidato da Chris Organ lo dimostra su “PNAS”, analizzando l’evoluzione dei denti e della taglia corporea nella linea umana e negli altri primati.

Le conseguenze di questa innovazione sono rilevanti: la lavorazione e la cottura dei cibi hanno liberato per i nostri antenati una quantità smisurata di tempo. Organ calcola che, in base alla massa corporea e ai tempi di masticazione negli altri primati, l’uomo dovrebbe mangiare per il 48 % della giornata, mentre lo fa solo per il 5% del suo tempo (lo scimpanzé, per confronto, mastica per il 37% del tempo).

Un’altra anomalia umana è il rimpicciolimento dei molari, molto più spinto di quanto giustificato dalla tendenza alla riduzione delle ossa mascellari osservata nei primi rappresentanti del genere Homo, come Homo habilis, e che quindi deve essere stata una risposta a ridotte esigenze masticatorie, la cui ragione più plausibile è la cottura del cibo. Altri fenomeni, come il passaggio a un carnivorismo più spinto, non reggono come spiegazione perché avvenuti in tempi diversi. Ebbene, i molari ridotti si trovano già nel Neanderthal e in Homo erectus. Anche’essi, quindi, dovevano preparare e cuocere il cibo.

 

 

 

 

4 Replies to "Mappa cerebrale dei sapori, dieta e cervello, Homo erectus e la sua cucina"

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    falco 1 Novembre 2011 (18:03)

    Non potevo immaginarlo e mai avrei potuto, Lucia.

    Ora, visto il report scientifico, proverò a controllare meglio le dosi ma, sono convinto, da fanatico dell’enogastronomia, esclamare ” basta, adesso non mi serve più” mi risulterà assai difficile!

    falco :))

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    Lucia Galasso 1 Novembre 2011 (19:01)

    Ah beh… intanto sai… poi le dosi… beh, basta che ci sia la qualità… mica la quantità 😉

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    Enrico 2 Novembre 2011 (22:18)

    Visto che non ti vedo più su twitter, ti saluto qui. Come stai?
    Un saluto.
    Enrico

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      Lucia Galasso 3 Novembre 2011 (5:33)

      Ciao enrico, grazie della visita! Io sto bene e sono tornata su twitter, ora sono @Eculturale… oggi ti aggancio 😉

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