Macellazione rituale e macellazione laica: un po’ di chiarezza (please)

 

La religione ebraica e quella musulmana prevedono che la carne, per potere essere lecitamente consumata dai propri fedeli, debba provenire da un animale macellato secondo alcune regole precise che vanno sotto la generica denominazione di “macellazione rituale-religiosa”.
La macellazione rituale è divenuta recentemente oggetto di dibattiti e polemiche perché, secondo una larga parte dell’opinione pubblica e degli esperti, il rispetto delle regole religiose implica un incremento della sofferenza dell’animale: questi infatti viene immobilizzato secondo tecniche particolari e viene ucciso senza essere preventivamente stordito. Il problema è acuito dall’immigrazione in Europa occidentale di un largo numero di musulmani, che ha conferito alla macellazione rituale un rilievo quantitativo sconosciuto fino a pochi anni fa (e ha puntato i riflettori anche sulla macellazione ebraica). Un esempio di come questi due tipi di macellazione siano diventati il fulcro anche di interessi politici (oltre che economici) ce lo fornisce questa notizia: Francia 2012: religioni in campo in polemica su carne halal e kosher. E’ bastato condividerla sui vari social network che inevitabilmente si è scatenata la polemica: la macellazione rituale è un atto barbarico, indegno di un popolo civile.

Da brava relativista culturale quale sono non mi interessa giustificare o meno questa pratica religiosa, quanto capire e chiarire il pregiudizio che vi si nasconde dietro: quanto ne sappiamo della “nostra” macellazione convenzionale? Siamo veramente così sicuri che sia realmente più “pietosa” di quella rituale? Cosa le differenzia, e da dove nasce il bisogno di sacralizzare un alimento così altamente simbolico come la carne (ma anche tutti gli altri alimenti)?

Per poter sopravvivere la maggioranza degli organismi deve uccidere, e l’uomo non si sottrae a questa legge. Il problema di dover uccidere per amore della vita ha posto l’essere umano di fronte a una delle più antiche e fondamentali esperienze umane: quella di trovarsi “di fronte” al mondo, un mondo che è vissuto come profondamente estraneo all’uomo, come qualcosa che non gli appartiene, ma che è di altri, e precisamente a quelle entità sovraumane che lo governano. Ogni intervento umano su questa realtà non umana è vissuto come illecito; l’animale cacciato non appartiene di diritto all’uomo, ma alle potenze che dominano in quella realtà estranea e per questo “sacra”. Il cacciatore si sente in colpa per l’uccisione della selvaggina, consumare un alimento preso a una natura non umana è vissuto come un sacrilegio, per poterlo consumare, quindi, è necessario “desacralizzarlo” per renderlo così adatto al consumo umano. Nelle antiche culture di caccia e raccolta questo avveniva tramite l’offerta primiziale, concentrando la sacralità dell’alimento nel primo pezzo che viene debitamente restituito alla o alle divinità. Il perché venga offerto proprio il primo boccone (di solito il migliore) è da ricercarsi nel fatto che il momento critico, in ogni azione, è proprio il primo; quello che rompe la situazione di equilibrio, dove l’umano irrompe in una realtà che non gli appartiene. Così se il primo pezzo viene “mangiato” dalla divinità il momento critico è superato, e il resto del cibo può essere consumato dagli uomini. L’offerta primiziale passa dalle civiltà cacciatrici a quelle degli agricoltori, dove quest’ultime, di ogni prodotto agrario, offrono una “primizia” agli esseri sovraumani prima che la comunità possa iniziare a cibarsene.

Bisogna poi tener conto del fatto che fin dall’antichità è sempre esistito uno stretto rapporto tra religione e sanità. I sacerdoti, durante i sacrifici in onore degli dei o del dio unico, non traevano solo auspici per la popolazione ma, dall’osservazione dei visceri, nonché dalla presenza in essi di parassiti, desumevano anche se consentire o meno il consumo delle carni ai fedeli. A grandi linee possiamo sostenere che la figura del sacerdote combaciasse con quella del medico (Non è un caso che la macellazione si effettui in impianti definiti”mattatoi“, termine che deriva da “mactare” che vuol dire uccidere ma anche “immolare e offrire in sacrificio“; il mattatoio è, infatti, una struttura che garantisce requisiti di igiene e il fine della macellazione è l’uccisione dell’animale nel rispetto di determinate condizioni igienico-sanitarie, che ne garantiscano la commestibilità. La cultura medica proviene solo dai libri sacri e dalla prescrizioni religiose, solo con Ippocrate la medicina inizia a staccarsi dalle formule magiche e sacerdotali e pone l’attenzione all’osservazione del malato. Nonostante questo l’intreccio tra medicina e religione continuerà a influenzare tutte le culture del pianeta: basti pensare a quanta importanza ha presso di noi la medicina monastica. Altre testimonianze di questo legame sono per esempio il culto della “vacca sacra” nei paesi asiatici, il divieto di magiare carne di suino nei paesi caldi, il divieto del consumo di alcolici, il ramadan e le pratiche cattoliche del digiuno quaresimale o delle astinenze.

E’ questo il background che giustifica la permanenza nelle varie normative costituzionali del rispetto delle macellazioni rituali islamiche ed ebraiche. La sacralizzazione di un processo di gestione degli animali consente di inserire una dimensione morale in questo ambito, salvaguardando la compatibilità delle pratiche che lo contraddistinguono con i principi etici della società in cui ne avviene lo svolgimento. Resa sacra, solenne, ogni procedura perde il carattere di un atto ordinario e scontato, per assumere una valenza peculiare, proporzionale ai significati intrinseci della stessa e all’entità delle sue dirette conseguenze. Applicata alla macellazione, questa considerazione permette di evidenziare come il conferimento di una rilevanza rituale all’operazione e la relativa connotazione religiosa possano servire a qualificare gli obblighi di responsabilità nello svolgimento della stessa: attraverso il vincolo all’osservanza di regole precise, alla preventiva acquisizione di conoscenze specifiche, alla richiesta di agire con rispetto. In tal modo se ne tutela la valenza etica, identificandola nell’elemento di culto. In questo modo l’uccisione di un animale a fini dell’alimentazione umana trova una sua forma di legittimità (differente è invece è la pratica della macellazione convenzionale, dove le competenze sono affidate alla sensibilità e alla responsabilità di chi la esegue. Nella cultura occidentale infatti, la macellazione è una mansione tecnica del tutto spersonalizzata, affidata a personale assuefatto a tale routine violenta, e comprensibilmente più attento al valore commerciale dell’animale che alla sua sensibilità dolorifica).

In questo ambito, il limite della shechità kosher e halal viene imposto in nome di un benessere animale altrimenti tutelato dalla “pietosa” pratica delle stordimento contemplata nei normali macelli.
La coesistenza di entrambi i tipi di macellazione rituale in Italia è ammessa solo in forma di eccezione alla disciplina generale (deroga), al fine di consentire, attraverso la possibilità di rispettare le prescrizioni alimentari, la libertà di religione, garantita tra i valori e i diritti fondamentali dell’uomo (l’Italia ha autorizzato la macellazione rituale con il D. M. 11 giugno 1980, di esecuzione della L. n. 439/78, recante autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti religiosi ebraico e islamico, sulla base dei requisiti prescritti dalla convenzione europea sulla protezione degli animali da macello).

Non vanno poi dimenticati i motivi economici che supportano la continuità delle pratiche religiose come, appunto, la macellazione rituale, e che alla fine sembrano avere più rilevanza delle motivazioni storiche e tradizionali;

  • le vertebre cervicali non devono essere sfiorate, altrimenti le carni dell’animale sono dichiarate non commestibili, in quanto immonde;
  • le carni completamente dissanguate sono più chiare e, quindi, commercialmente più gradite;
  • gli ebrei e gli islamici considerano immonde le carni del quarto posteriore dell’animale (vige il divieto di mangiare il nervo sciatico) e usano per l’alimentazione solo le carni del quarto anteriore;
  • le carni sottratte al consumo dei credenti non vengono distrutte ma vendute a popolazioni che seguono altre religioni;
  • le carni del quarto posteriore sono apprezzate particolarmente e hanno un valore commerciale superiore del 50% rispetto a quelle che si ricavano dal quarto anteriore (peraltro più sane perché contengono un maggior quantitativo di tessuto connettivo, a salvaguardia delle funzioni intestinali, e meno grasse a salvaguardia della funzione cardiaca).

Ma come funziona la macellazione convenzionale, quali le tecniche e i requisiti?

Le principali procedure di macellazione sono, infatti, lo stordimento e la iugulazione. Lo stordimento è attuato per legge prima della iugulazione, per evitare all’animale la coscienza e il dolore al momento dell’eutanasia. questo può essere ottenuto tramite: concussione, elettrocuzione o inalazione. Dopo lo stordimento, la legge ordinaria (decreto Legislativo 1 settembre 1998, n. 333) prevede la iugulazione, cioè la resezione dei vasi che forniscono il sangue al cervello, in modo da ottenere il successivo dissanguamento indispensabile per la morte. Per assicurare la conservabilità dei prodotti derivati, nella macellazione, in ogni cultura e in ogni parte del mondo, si deve infatti rispettare il requisito del completo dissanguamento dell’animale, pena la non commestibilità delle carni, cosa che si può ottenere solo mantenendo la pulsione del cuore per alcuni minuti dopo l’uccisione del soggetto.

La concussione (stordimento con la pistola) prevede varie modalità: con proiettile captivo penetrante, dove il proiettile attraversa il cranio e si conficca nel cervello causando la perdita di coscienza per trauma diretto. L’EEG (encefalogramma) registra una perdita di coscienza immediata quando il posizionamento è frontale (<1 sec) o occipitale (<1 sec) ed è invece ritardata (21 sec) quando è nella fossa nucale. La pistola a proiettile captivo non penetrante prevede una frantumazione del cranio grazie alla testa del proiettile a forma di fungo, ma non la sua entrata nel cervello, tanto da farlo ritenere assimilabile ad una concussione cerebrale con immediata perdita di coscienza ed eventuale ripresa.
Lo stordimento con pistola a proiettile captivo dipende per l’efficacia dal corretto posizionamento e quindi dalla direzione del proiettile, dalla sua adeguata lunghezza e dall’adeguata potenza della cartuccia (di vario colore a seconda dell’animale da macellare). Va da sè che le complicazioni di questi due metodi dipendono interamente da problemi di tecnica operativa, quali il ritorno alla coscienza/sensibilità (per mancato rispetto della localizzazione della pistola sul punto di maggiore efficacia, per inesperienza dell’operatore, per mal conservazione o difetto della cartuccia, per difetto della pistola) o la riocclusione delle carotidi.

Lo stordimento elettrico (elettrocuzione o elettronarcosi) si basa su un meccanismo d’azione che produce uno shock elettroconvulsivo con scariche simil-epilettiche, convulsioni e pedalamenti. Poiché questo tipo di elettroshock (3secondi) provoca la perdita di coscienza la iugulazione dev’essere effettuata almeno entro 23 secondi dall’inizio dello shock. L’elettrocuzione, con la motivazione che non uccide l’animale, è accettata da alcune autorità islamiche in associazione alla iugulazione. L’elettronarcosi con bagni d’acqua viene utilizzata per volatili da cortile; in caso di stordimento di gruppo il voltaggio mantenuto deve essere sufficiente a produrre un’intensità di corrente efficace per lo stordimento di ciascun animale. Nei suini e ovini, la sua efficacia deve essere controllata mediante l’osservazione del riflesso corneale che deve risultare assente, pratica quasi impossibile in una catena di macellazione come quella dei moderni macelli. Complicazioni possono derivare dalla sovrastima della durata dell’insensibilità, che può ostacolare l’intervento ottimale di 23 secondi tra stordimento e iugulazione. Talvolta l’animale, una volta appeso, deve essere stordito di nuovo.

Lo stordimento con inalazione di biossido di carbonio, usato per suini e volatili da cortile, si serve di una cella o camera a gas in cui viene somministrata anidride carbonica superiore al 70%. Per lo stordimento con inalazione può essere utilizzato anche argon o azoto. Un suo svantaggio è che provoca apnea prima della perdita di coscienza, mentre un suo vantaggio è che gli animali non devono essere immobilizzati e quindi non subiscono, se gli ambienti sono ben illuminati e non si generano traumatismi, lo stress premacellazione.

La iugulazione è la seconda tappa della macellazione e può essere;

  1. convenzionale-secolare
  2. rituale-religiosa

Esistono numerosi esempi di macellazioni animali effettuate in occasione di celebrazioni religiose o festival etnici. Ad esempio delle capre al festival Yam, degli arieti alle celebrazioni Sallah, dei piccioni nei rituali Yoruba e dei galletti in quelle Igbo, così come differente è la macellazione nella comunità Sikh che, secondo l’antica tradizione induista Haryman, preferisce il metodo della decapitazione (jhatka), poiché adatta al consumo è solo la carne proveniente da un animale istantaneamente ucciso da un colpo d’arma bianca. Diversa è la iugulazione praticata secondo i dettami del Corano e del Talmud, che prescrivono che solo la carne di animali macellati secondo determinate procedure può essere considerata cibo rituale e il suo consumo diventa parte integrante dell’essere un buon musulmano o un buon ebreo.

Nella macellazione rituale ebraica (shechità) che produce carne kosher e nella quale è inaccettabile un precedente stordimento, è prevista un solo taglio da un lato all’altro del collo, senza pressione ne interruzione, da effettuarsi, con un unico atto, da parte di un operatore esperto (shochet) provvisto di una licenza, per mezzo di un coltello (chalaf, che significa “cambiare”) di straordinaria affilatura e adeguata altezza (3 cm) e lunghezza (25 cm). Secondo alcuni studiosi questo metodo non è un mero atto meccanico, ma una manifestazione di rispetto per l’animale che si riallaccia, primo esempio storico di protezione degli animali, all’antico Testamento: Deut XXV,4; Exodo XXIII, 12.
L’uccisione dell’animale non deve essere fatta in maniera arbitraria, ma deve essere sacralizzata. Questo perché la morte di un essere vivente non deve mai diventare un atto semplice, ordinario, routinario. La shechitah si impone come un atto educativo che deve far pensare, che comunque non deve far dimenticare la crudeltà dell’azione” (R. Di Segni, Guida alle regole alimentari ebraiche). Dopo lo sgozzamento l’animale viene lasciato per 5-10 minuti a dissanguare completamente perché il consumo di sangue è proibito dalla legge scritta e orale ebraica “Quando vorrai mangiare carne, guardati dal mangiare il sangue, poiché il sangue è l’anima e tu non mangerai l’anima con la carne“.
In questa fase è palese la finalità morale di non mangiare l’anima dell’animale, ma contestualmente anche quella igienica, in quanto la carne prodotta contestualmente alle leggi alimentari ebraiche è di migliore conservazione, poiché il sangue vi si trova in minore proporzione e non favorisce lo sviluppo di microrganismi responsabili di alterazioni.

La macellazione rituale islamica (halal) trova il suo fondamento direttamente nel Corano:
Vi sono interdetti gli animali morti di morte naturale, il sangue, la carne di maiale, gli animali su cui sia stato invocato, all’atto dell’uccisione, un nome diverso da Dio, gli animali soffocati, ammazzati a colpi di bastone, morti per caduta o per colpi di corna, quelli che bestie feroci abbiano divorato in parte, a meno che non li abbiate finiti di uccidere, nel modo prescritto, voi stessi,e, ancora, ciò che è stato immolato per gli idoli sui blocchi di pietra avanti alla vostre case, vi è pure proibito di ripartire tra di voi, a mezzo di frecce, gli animali uccisi, poiché ciò è un’empietà; guai, oggi, a coloro che negano la vostra religione, però non li temete, bensì temete me” (versetto 4, Sura V, ma si vedano anche i versetti: II, 168; VI, 146-147; XVI, 115-116 del Corano nella traduzione italiana di L. Bonelli, Milano, Hoepli, 1976).
Questo tipo di macellazione produce la carne halacha, e nella quale in qualche paese è consentito un precedente (Australia e Nuova Zelanda) o un successivo (Malaysia) stordimento dell’animale, è previsto un taglio da un lato all’altro del collo, effettuato secondo l’esperienza o l’abitudine dell’operatore e di norma non ripetuta, ma che in alcune comunità può essere accompagnata dalla resezione del midollo spinale. Prima della macellazione, particolarmente nei paesi del Medio Oriente, l’animale viene capovolto, appeso per un posteriore con una balza, e immediatamente iugulato e dissanguato. Durante il procedimento la testa dell’animale deve essere rivolta verso La Mecca.

La iugulazione convenzionale può essere effettuata (per evitare la frequente ri-occlusione delle carotidi, che avviene nel 16% dei casi) in posizione eretta, nella quale può essere applicata una prolunga elevatore del mento, così come sui glutei può essere applicato un respingente per favorire il posizionamento sulla prolunga, oppure in posizione capovolta, una volta che l’animale è stato reso insensibile dallo stordimento. Essa prevede un’incisione solo dei grossi vasi e non di esofago e trachea; è sufficiente infatti recidere almeno una carotide, provocando un dissanguamento corretto, che provoca la morte per anemia acuta.

In uno studio comparativo, in soggetti sottoposti a stordimento e dopo 60 secondi a iugulazione, la perdita di sensibilità registrata dalla scomparsa di un EEG è iniziata dopo 69 secondi , e dopo 75 secondi in soggetti sottoposti alla sola iugulazione rituale. La velocità di dissanguamento, in soggetti sottoposti a stordimento e dopo 60 secondi a iugulazione, è risultata inoltre simile a quella di soggetti sottoposti alla sola iugulazione rituale, considerata fino a oggi più rapida ed efficiente. I potenziali evocati, in corso di iugulazione rituale, scompaiono dopo 16-20 secondi documentando la perdita di sensibilità, mentre nel caso di stordimento seguito da iugulazione (dopo 60 secondi) scompaiono dopo 113 secondi.

Nella macellazione rituale sono tre gli inconvenienti maggiori: la contenzione immediatamente precedente la macellazione, il dolore causato dall’incisione e dal dissanguamento. Sia che si parli di macellazione convenzionale che rituale la medicina veterinaria invita a tenere presente 3 regole:

  1. eseguire correttamente la macellazione, rispettando i dettami della legge e il rispetto per l’animale (cosa che non sempre combacia). Se le procedure non vengono eseguite correttamente, la sofferenza si manifesta principalmente con il comportamento dell’animale;
  2. un corretto contenimento alla macellazione, che è addirittura più importante del tipo di macellazione (rituale o convenzionale)
  3. anche se la macellazione si conclude con l’eutanasia, non deve essere consentito nell’animale alcuna forma di sofferenza e nel personale comportamenti crudeli, dato che la finalità rimane una perdita di coscienza più rapida possibile e senza lotta.

Rischi di sofferenza sembrano più probabili con la macellazione rituale religiosa che con quella convenzionale sulla base di alcune motivazioni: il fatto che su un soggetto cosciente la iugulazione, per non essere stressante, richieda un contenimento efficace in posizione eretta, mentre invece essa è spesso effettuata col soggetto appeso per un arto (piccoli ruminanti) in postura capovolta potenzialmente stressante; il fatto che il taglio di cute, muscoli (e, in misura minore, dei vasi) sia dolorosa per un soggetto cosciente e comporti una sensibilizzazione attorno alla ferita; il fatto che il dissanguamento in un soggetto cosciente possa essere stressante. I rischi di sofferenza con la macellazione convenzionale sono più frequentemente dovuti a inadempienze o incongruenze nel contenimento forzato al momento della macellazione e allo stordimento effettuato non correttamente che non è in grado di provocare un’incoscienza istantanea. Senza contare che c’è da chiedersi quanto possa ritenersi preferibile la macellazione di un animale privo di coscienza a quella di un individuo vigile, quando questo stato di incoscienza è determinato con metodi violenti e dolorosi.

Confronto tra i due tipi di macellazione (Fonte: Giancarlo Vesce)

Se il principale interesse è il benessere animale (come impone la legge) sarebbe da tenere principalmente in considerazione il percorso di convogliamento, in maniera tale che non comporti paura o stress per gli animali macellati, come anche negli altri animali che assistono direttamente o indirettamente alla macellazione: un contenimento eseguito correttamente nel percorso di convogliamento minimizza lo stress premacellazione, sia la componente emotiva del dolore. Illuminanti, in questo caso sono stati gli studi di Temple Grandin sui quali sono stati progettati la maggior parte dei macelli americani, consiglio vivamente la lettura del tuo testo “La macchina degli abbracci“.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=GyOzgtcPQZs[/youtube]

Alla luce di quanto descritto fino ad ora penso che il problema della macellazione non sia tanto se sia rituale o convenzionale, ambedue le modalità infatti implicano della sofferenza all’animale (o prima o dopo), quanto piuttosto nel tenere presente che il benessere dell’animale da macello non va preservato solo al momento della macellazione ma fin dall’inizio della sua esistenza. Sono convinta che molti di noi, che adorano mangiare carne (io per prima), smetterebbero immediatamente se solo vedessero in che condizioni sono allevate e infine macellate queste bestie. Allora si, preferisco una macellazione rituale, rispettosa, che si ricollega ad antiche pratiche ancestrali piuttosto che a quella spersonalizzata dei nostri macelli a catena di montaggio. Mi sembra molto ipocrita e perbenista additare “gli altri” come barbari quando pur di mangiare una bistecca ce ne freghiamo di cosa c’è dietro.

15 Replies to "Macellazione rituale e macellazione laica: un po' di chiarezza (please)"

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    Giusi Ferrari 13 Aprile 2012 (19:06)

    Sì, sono d’accordo che da parte nostra sia ipocrita additare gli altri. Ma non esiste “un meglio” quando ci riferiamo alle modalità di uccisione di un essere vivente, poiché così pensando pecchiamo continuamente di specismo permettendoci di decidere della vita di altri. Come quella convenzionale, la macellazione rituale non è rispettosa dell’animale, dei suoi desideri e del suo punto di vista. Dissangua e uccide, e poco importerebbe che cosa provi chi lo fa, le sue intenzioni, se prendessimo in considerazione il punto di vista animale. Ma il problema enorme che ancora rimane è quello di un’umanità che crede di essere abbastanza sensibile da pensare di potere rinunciare a mangiare le creature se solo le fosse dato di vedere tutta la loro sofferenza, ma non abbastanza da sentire nel cuore la profonda ingiustizia che ancora ci concede di porci come esseri superiori spargendo sangue innocente. Anche quando ci abbondano in bocca parole di pace e la pietà di Dio.

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      Lucia Galasso 9 Agosto 2012 (8:10)

      Io trovo la macellazione un atto atroce sia che questa sia laica che rituale. Non mi piace chi si mette in cattedra accusando i metodi altrui come peggiori senza neppure conoscere i propri. I nostri non sono affatto migliori. Il fine del post non era santificare la macellazione rituale, era far capire che ambedue le modalità hanno le loro gravi pecche. Come antropologa ritengo che quella rituale abbia conservato un legame con il sacro, cosa incontrovertibile, e quindi abbia maggiore consapevolezza della pratica di quella laica, tutto qui.

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    Nicoletta 14 Aprile 2012 (13:12)

    Premetto che sono vegetariana, quindi istintivamente mi trovo d’accordo con Giusi. Tuttavia, non ritengo giusto additare coloro che hanno scelto di essere onnivori.Proporrei piuttosto la lettura di quello che è ormai diventato un best seller, “Se niente importa”, di Foer, perché si propone come un’analisi attenta ed articolata dell’allevamento e della macellazione, proponendo modi alternativi e più “etici”, senza condannare per forza coloro i quali si nutrono di carne. Inoltre Foer, ebreo di nascita, riporta anche una visione della carne e del cibo legata a ciò che siamo, punto di vista quanto mai interessante in un clima di multi/interculturalismo.

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    Moreno 15 Aprile 2012 (20:42)

    L’articolo è interessantissimo, grazie per tutte queste informazioni. Sono d’accordo sul fatto che il problema non sia tanto nella macellazione rituale o non rituale, quanto piuttosto nel rispetto degli animali in ogni fase della loro esistenza. Tuttavia non posso fare a meno di considerare una cosa. Nel caso della macellazione tradizionale questo rispetto può essere ottenuto adottando diversi metodi di allevamento e di macellazione, ma nel caso della macellazione rituale è impossibile ottenerlo senza infrangere le regole dei testi sacri. Questo mi sembra un limite oggettivo delle macellazioni rituali.

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    Lucia Galasso 16 Aprile 2012 (5:45)

    Grazie a tutti per i vostri commenti, trovo che l’approccio di Foer sia molto illuminante (sto leggendo ora il libro) e alla fine nel rispetto di vegani, vegetariani e onnivori penso che già la differenza la farebbe un trattamento rispettoso dell’animale dall’inizio alla fine della sua vita. Quello che mi interessava descrivere in questo post è l’origine storico-antropologica della macellazione che da sacra (fin dalle origini) si è poi secolarizzata, arrivando alle devastanti condizioni nelle quali alleviamo, nutriamo e uccidiamo gli animali. Informarsi, scegliere, conoscere può fare la differenza nel decidee cosa mettere nel piatto (e se metterlo nel piatto). @Moreno ho capito cosa intendi, hai ragione, però chissà che in futuro non si possa migliorare nel rispetto della sacralità? Adesso come adesso, noi “laici”, dobbiamo accusare un limite nostro, in quanto comodo economicamente parlando (ah, complimenti per il tuo blog!). Vi lascio intanto con questo piccolo editoriale di Petrini http://www.terramadre.org/pagine/voci/leggi.lasso?id=C27451720a0342C24DOoj2C87A0A&ln=it Buona giornata! 🙂

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    Giusi Ferrari 9 Agosto 2012 (7:48)

    In ogni caso è il punto di vista dell’animale che conta, quello che per troppo tempo è stato ignorato. Non spetta a noi decidere che cosa tollerare o meno quando il dolore che le nostre scelte provoca non ci appartiene. Rispetto della sacralità? Solo la vita è sacra e la libertà che la rende degna di questo nome. Qui una lucida descrizione di un noto medico veterinario specializzato in Ispezione degli alimenti di origine animale:
    “La macellazione rituale consiste nel legare a un animale, pienamente cosciente, le due zampe anteriori e la zampa posteriore sinistra, rovesciarlo così immobilizzato sul dorso, poi recidergli la gola fino alla colonna vertebrale mentre l’esecutore pronuncia le sacre parole rituali (…) Chiedere questa piena coscienza della morte è una vera e propria crudeltà. Già il fatto di essere rovesciato costi
    tuisce per l’animale un atto terrificante: il polso e i globi oculari testimoniano il suo enorme panico in questi momenti. Lo squarcio praticato in piena coscienza nella gola, per una lunghezza che raggiunge i 50 cm, è molto doloroso in quanto nella gola hanno sede plessi nervosi, vasi sanguigni e linfatici, linfoghiandole che ne fanno una parte estremamente sensibile. La giugulazione senza stordimento è una tortura. La perdita di coscienza (…) è tutt’altro che immediata. Alcuni veterinari riferiscono di avere constatato che molti animali dopo lo sgozzamento si sono rialzati.” (Roberto Marchesini – Oltre il muro)

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    Fabio Fretti 11 Agosto 2012 (17:14)

    Ottimo articolo. Mi sento d’accordo anche con la conclusione, sebbene voglia aumentarla e, dopo aver letto le precedenti risposte, anche appesantirla: siamo tutti barbari, siamo assassini per natura, guardiamoci allo specchio e parliamoci chiaro e schietto. Possiamo solo provare ad essere “pietosi” verso le nostre vittime, ma niente più, sempre di assassinio si tratta. Del resto la “buona” madre natura ci ha fatti animali, non certo vegetali, gli unici esseri viventi che non hanno bisogno di uccidere per vivere. Ecco quindi il mio appesantire il giudizio di assassini: i vegetariani, come provo ad essere anch’io, sono ugualmente assassini. Solo selezioniamo le nostre vittime, possibilmente che non scappino o urlino mentre le macelliamo, altrimenti potremmo anche sentirci in colpa perché non possiamo fare a meno di togliere la vita.

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      Lucia Galasso 12 Agosto 2012 (4:39)

      Grazie Fabio, io ho una mia particolare teoria, e si riconduce al fatto che ogni essere su questa terra deve nutrirsi per sopravvivere, la vita chiama morte e viceversa, è il ciclo della vita – morte-rinascita – che permea tutte le religioni. Essere pietosi, essere consapevoli mi sembra un atto spirituale, un atto dovuto a chi si sacrifica (o sacrifichiamo) per vivere. Non rinuncio a mangiare la carne,sono consapevole di quello che faccio, cerco di scegliere il meglio quando lo faccio: animali che sono stati allevati con rispetto, uova di allevamento a terra… posso scegliere così quale tipo di carne mangiare. Mi sembra solo assurdo accusare un tipo di maccellazione a fronte della vergogna dei nostri macelli industriali.

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    Viola 24 Giugno 2014 (17:02)

    Molto bello questo articolo, scritto bene e con ragionamento. Complimenti a Lucia Galasso.

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    Maazouz .M. 31 Marzo 2015 (8:07)

    La macellazione rituale fa soffrire meno l’animale , perchè con la iugulazione l’animale sfoga e muore subito. Invece con lo stordimento rimane vivo per 50 mn . Qualche volte lo depilano cosi vivo .

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    Daniele Marini 7 Agosto 2016 (14:34)

    Complimenti Lucia Galasso. Ottimo articolo!

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      Lucia Galasso 1 Settembre 2016 (16:31)

      Grazie Daniele, seguiranno aggiornamenti 🙂

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    Giulio 26 Novembre 2016 (2:08)

    Su 7 miliardi di persone al mondo solo un miliardo fa uso alimentare di carne, la cui produzione comporta la macellazione di 3 miliardi di animali all’anno, che vengono nutriti impiegando un terzo delle risorse agricole della terra mentre milioni e milioni di esseri umani muoiono letteralmente di fame. Per produrre 1 kg di carne s’impiegano 15000 lt. di acqua (1 kg di cereali comporta il consumo di 1000 lt. di acqua) a fronte delle gravi carenze idriche sopportate da milioni e milioni di esseri umani. Metà degli antibiotici prodotti al mondo servono per mantenere in vita gli animali da macello, con gravissimi rischi alla salute dell’uomo che diventa resistente alle cure antibiotiche. Ogni capo da macello produce in media 1500 litri di metano (da moltiplicare per circa 3 miliardi annuali) e le catastrofi legate al riscaldamento della terra vanno attribuite per il 40 per cento all’allevamento degli animali da macello. Autorevoli personalità mediche (ad esempio l’oncologo Veronesi), anche contrarie a medicine alternative, asseriscono che una dieta vegetariana bilanciata (con ausilio di uova e latticini) può fornire tutti gli amminoacidi fondamentali, il ferro e la vitamina b12 necessari all’essere umano, senza far scempio delle risorse della terra a scapito della maggior parte delle persone umane viventi, ponendo fine a questa disgustosa ed incivile sofferenza degli animali (un bovino, un suino, un ovino raggiungono livelli di coscienza, sensibilità e capacità cognitiva non inferiori a quelle di un bambino umano di almeno tre anni d’età), e preservando da una serie di catastrofi geofisiche il nostro pianeta.

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    Giovanna 28 Febbraio 2018 (8:42)

    Non ho mai macellato un mammifero, ma uccido normalmente gli animali da cortile che allevo per uso famigliare. Certo, l’atto della macellazione è doloroso per l’animale e, qualunque sia la tecnica adottata, comunque lo priva della vita, quindi è un atto di violenza. Ma anche gli animali carnivori privano della vita le loro prede e non adottano di certo particolari riguardi, perché generalmente operano in fretta, prima che la preda sfugga alla loro presa o prima che sopraggiungano altri carnivori. Il problema, a mio avviso, non è tanto come gli animali vengono macellati (anche se concordo sul fatto di evitare loro ogni inutile sofferenza), ma come vengono ALLEVATI. Se un animale è allevato per la produzione di carne, la sua fine sarà necessariamente una morte prematura e innaturale, ma ciò non significa che non si debba fare di tutto affinché la sua ESISTENZA sia il più naturale, lunga e piacevole possibile, rispettando le sue naturali inclinazioni (per esempio il consumo di cibi idonei alla sua natura, la possibilità di movimento, l’ambiente di vita consono alla sua natura, ecc.). Purtroppo queste condizioni non vengono quasi mai rispettate nei consueti allevamenti, che io chiamo “industriali”, degli animali di cui ci nutriamo

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