Jean-Louis Flandrin, storia del gusto e antropologia

Una riflessione appassionante, tra gusto e  antropologia, tra storia e alimentazione, del grande storico francese

I gusti intrattengono rapporti evidenti con le pratiche alimentari. Diciamo “mangio questo”, “cucino così”, “perché è buono”, “perché mi piace”. L’antropologo e lo storico, al contrario, tendono a dire che il gusto di ciascuno si è formato in base all’educazione ricevuta, e che la diversità dei gusti nazionali o regionali riflette la diversità delle pratiche alimentari. Del resto, in qualunque modo si rappresentino queste relazioni, chi voglia conoscere i gusti di una comunità umana si dedica generalmente allo studio delle sue pratiche alimentari, fenomeno oggettivo, relativamente facili da osservare. Si dà il caso, però, che il gusto non sia unicamente o semplicemente l’aspetto psicologico di comportamenti alimentari.

I nostri alimenti e la nostra cucina non sono necessariamente quelli che preferiamo. Sono numerosi i viaggiatori antichi e moderni che sanno gustare cibi stranieri, e a volte persino li preferiscono a quelli della loro patria. […] il problema è, in definitiva, sapere in quale misura il gusto di un popolo sia stato modellato dalle sue pratiche alimentari tradizionali, dipendenti a loro volta da costrizioni diverse, in quale misura, al contrario, pratiche e gusti si siano contrapposti. Inoltre, quando è attestata una trasformazione delle pratiche, è importante stabilire il gusto l’abbia suscitata, l’abbia seguita o vi si sia opposto.

(Jean-Louis Flandrin, II gusto e la necessità, 1994)

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