Il caso della Melanzana ebrea ovvero #siamoalverde

Da qualche giorno su Twitter è stato inaugurato un nuovo hastang #siamoalverde per evidenziare una discussione nata da una riflessione di Vittorio Rusinà aka @tirebouchon. Vittorio si chiedeva come mai, nella maggioranza dei ristoranti italiani, è difficile trovare ricette a base di verdure. La presenza di vegetali come contorno è indubbiamente presente, l’interrogativo riguardava proprio sulle verdure in quanto ricette  uniche, a sostituzione di un primo o di un secondo (se non di ambedue).

Mentre scorrevano i contributi  della discussione nella mia timeline, mi è venuto spontaneo osservare che nella cucina ebraico-romanesca vi è una forte presenza di questo tipo di ricette, proprio in virtù del fatto che gli Ebrei sono sempre stati dei forti consumatori di verdure e quindi molto ricettivi nel sapere adottare, all’interno della loro cucina, i frutti della terra che incontravano durante la Diaspora. Una caratteristica della cucina ebraica infatti, oltre al rispetto della kasherut (per un approfondimento di questa cucina e dei suoi basilari vi rimando ad un mio precedente post sulla cucina ebraico-romanesca) è proprio l’apertura alla novità, ai gusti e sapori inediti. Se a questo aggiungiamo che la cucina ebraica è una delle  più antiche in Italia, riusciamo facilmente a capire perchè ha così profondamente plasmato la ristorazione romana fino ai nostri giorni.

In particolare sul versante “verde” è a loro che dobbiamo l’adozione della patata, guardata per decenni con grande diffidenza dalle popolazioni europee, e invece accolta subito con favore sulla tavola degli Ebrei. Stesso discorso per la melanzana, malignana o petonciano, la cui evoluzione nella cucina ebrea è interessante e istruttiva.

Il suo consumo è attestato nel tardo Medioevo tra gli Ebrei della penisola iberica e dell’Italia merdidionale, che lo avevano adottato dalla cucina araba. Dopo l’editto di espulsione degli Ebrei dalla Spagna del 1492 la melanzana approda sulla mensa delle comunità ebraiche dell’area mediterranea, dove diventa l’equivalente della patata dei nostri giorni. E’ però considerata un cibo plebeo, tipico della cucina povera e non sofisticata, anche in relazione al fatto che si pensava nuocesse alla salute, arrivando addirittura ad avvelenare chi se ne nutriva con ingordigia.
Privata dell’amaro ritenuto tossico, la berenjena, come era chiamata dagli Ebrei sefarditi esuli dalla Spagna, era cucinata in un’infinità di modi e in particolare fritta e marinata nell’aceto, con l’aggiunta facoltativa di aglio e rosmarino (in Spagna, Portogallo e Italia) e con ripieno di carne macinata, riso e  spezie (nei Balcani).

Al suo ambiguo fascino cede anche Bartolomeo Scappi, che ci riporta la  dettagliata ricetta della “torta di molignane“, uno sformato di melanzane cotte nel burro, sistemate a strati e “tramezate di fette di provatura o di cascio et pangratato“.

Il tragitto gastronomico della melanzana, in Italia, risulta alquanto problematico. Si raccomandava infatti che questo vegetale fosse consumato solatanto dagli Ebrei, in quanto apparteneva alla cultura alimentare di gente ritenuta povera o indegna. Le melanzane sono quindi “per gli hebrei costumato cibo” (Vincenzo Tanara), così come per la servitù e il popolino. Del resto, dal Cinquecento, nelle città dell’Emilia l’appetitoso e plebeo petonciano era considerato da tutti “mangiare giudeo“.

E’ Pellegrino Artusi a risollevarne le fortune, affermando che le scelte gastronomiche ebraiche, in merito alle melanzane e ai finocchi (questi ultimi amatissimi dagli Ebrei romani insieme ai carciofi) si erano rivelate lungimiranti: “In questo, come in altre cose di maggior rilievo essi hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani“.
E’ comunque un fatto che le melanzane, anche nelle varie espressioni della cucina ebraica, costituissero un mangiare diffuso tra i ceti meno abbienti, e fossero volutamente ignorate dalle cucine più ricche ed elaborate.
E’ prevedibile, quindi, che nella povera cucina del ghetto di Roma, in pieno Ottocento, fossero ricordate con orgoglio le arcaiche ricette delle “malignane soffritte in concia” (come le zucchine), ovvero fritte e messe a macerare in una marinatea di agresto (l’agresto è una salsina densa a base di mosto d’uva, dal sapore acidulo), aglio e basilico, oppure scinicate, cotte in umido con olio, cipolla e succo di limone.

L’excursus sulla melanzana “ebrea” serve tra l’altro a farci capire meglio la funzione di intermediazione della cucina ebraica, facilmente ricollegabile alla sua identità alimentare che si manifesta non soltanto in rifiuti riconducibili alle interdizioni religiose, ma anche e soprattutto in adozioni e scelte diverse, in molti casi sorprendenti e spesso di grande rilevanza degli alimenti.

E per concludere una ricetta di cucina ebraica a base di melanzane (mi sembrava doveroso) e un video di Un tocco di zenzero girato al Scannabue cafè a Torino su #siamoalverde

Malignane scinicate
Ingredienti

  • 3 o 4 melanzane piccole o di media grandezza
  • uno spicchio d’aglio
  • qualche fogliolina d origano fresco
  • mezzo cucchiaino di zafferano in stigmi
  • un cucchiaio di aceto balsamico invecchiato
  • un cucchio e mezzo di aceto di vino
  • farina, olio d’oliva, sale, pepe

Per fare le malignane sofritte e scinicate. Piglia le malignane et falle ben nettare et mondare sottilmente; poi poni al foco un poco d acqua et falli dare uno bullore. Taglia in quarti et poni in quell’acqua un poco de sale. Non le lassare bullire più doi minuti, poi cavale fora sopra uno tagliero et falle asciugare. Poi infarinale et frigile. Et como le avrai frite, scola fora quasi tuto lo olio, poi piglia uno spico de aglio et pistalo bene cum uno quarto di queste malignane, et poi abbi uno poco de origano et pistalo con lo aglio et uno poco de zaffrano et sale. Poi distempera tutte queste cose insieme cum agresto et uno poco de aceto. Getta ogni cosa insieme in la padella a frigere un poco et poi manda a tavola.

Fonte: Roma XV-XIX secc.; An.,  La sparsciandata
Bibliografia: C. Benporat, Cucina italiana del Quattrocento, Firenze 1996, pp. 190, 240; De Benedetti, Poesia nascosta,cit., pp. 141-145, 155; Ascoli Vitali-Norsa, La cucina nella tradizione ebraica, cit., pp. 194-199

[la ricetta delle malignane scinicate e il testo de La sparsciandata sono tratte da “Mangiare alla giudia” di Ariel Toaff, Il mulino, Bologna, 2000] [youtube]http://www.youtube.com/watch?v=qnV3I05ZViM[/youtube]

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